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Molto prima che la sofisticata medicina della quale oggi diponiamo facesse capolino nelle nostre esistenze, rendendo il momento del concepimento e della nascita qualcosa di abbastanza prevedibile e controllabile in tutte le sue fasi, la procreazione umana non era esente da quell’alone di mistero, di paura, di senso di fatalità e di imprevedibilità che caratterizzava molte altre attività umane. E, come per accadeva più in generale nel campo della salute, ma anche, per esempio, nell’ambito dei lavori nei campi, si tendeva ad affidarsi a forme di sapere empiriche: fasi lunari, proverbi popolari, interventi di “macare”, intrugli officinali o presunti tali. Vediamo cosa accadeva dunque in terra di Puglia nel momento della nascita.

Riti per la protezione dei neonati: il bagnetto

Come sapete in terra di Puglia così come in larga parte d’Europa sin dai tempi antichi e poi via via durante tutto il Medio Evo i riti e gli stratagemmi per assicurarsi una buona sorte, un buon auspicio e per tenere lontane le influenze negative del maligno non mancavano mai. Si pensi alle teste o maschere apotropaiche delle quali abbiamo già avuto modo di parlare altrove, poste sui portoni dei palazzi e delle case in difesa dell’uscio. O, ancora, alle innumerevoli stoviglie e piatti col gallo, animale che, oltre all’indubbia valenza decorativa, esercitava un’azione protettiva del focolare così come di buon auspicio per la fertilità.

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Partiamo dunque dal primo bagnetto del neonato. Acqua tiepida e amido? Acqua tiepida e sapone? Ebbene no. Il “mix” era costituito da acqua tiepida e vino. Lavare il piccolo in acqua tiepida e vino assicurava non solo buona salute al piccolo, ma anche una buona dose di prosperità economica. Valeva la pena tentare, insomma. Dopo il bagnetto, si usava gettare l’acqua con il vino usata per lavare il piccolo al di fuori dell’uscio di casa se il piccolo era maschio, e nel focolare, sulle ceneri, se era femmina. Il senso era il seguente: nel caso del maschietto, gettare il liquido fuori casa era un rito propiziatorio per la via che il bambino avrebbe dovuto percorrere da adulto al di fuori del nido familiare. Nel caso della femmina, gettare il liquido nel focolare serviva a legare la piccola alla casa per tutta la sua esistenza.

Gli abitini: sacchettini portafortuna contenenti “di tutto un po’”

Si usava poi appendere al collo del piccolo (o appuntare alle vesti) dei sacchettini di forma rettangolare, chiamati abitini. All’interno del sacchetto potevano trovarsi frammenti di placenta, un piccolo ferro di cavallo, tre grani di sale o tre chicchi di grano, immagini di santi, un pelo di cane di colore nero, spilli appuntati su frammenti di stoffa a dar vita ad una croce, un pezzo di corda di una campana. Un mix tra sacro e profano, insomma, che il bambino avrebbe poi tenuto con sé per tutta la sua vita. Ciascuno di questi oggetti aveva naturalmente un suo senso: gli aghi a forma di croce avrebbero punto chi volesse portare il male, il santo aveva uno scopo di difesa, la corda avrebbe avvolto il malocchio e via dicendo. Come detto, il sacchettino era una compagnia per tutta la vita del bambino, e talvolta lo si apriva per togliere o aggiungere elementi, a seconda del momento e della fase della vita. Durante il periodo della dentizione del piccolo, per esempio, si usava aggiungere al sacchetto un dente aguzzo di volpe, per favorire il buon andamento del processo.

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Battesimo “fai da te”: il rituale delle sette fate

Infine, il piccolo era anche sottoposto ad una sorta di rituale magico durante il quale si disponevano sette sedie attorno ad un tavolo. Al centro, si poneva il piccolo, con una bacinella ed un asciugamano. In questo modo, a mezzanotte, sette fate avrebbero potuto accomodarsi al tavolo e battezzare il piccolo, proteggendolo dal male.


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Ilaria Scremin