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Il Nero di Troia: sostenibilità e ritorno di un vitigno pugliese

La Puglia è una terra capace di stupire chi la visiti per la incredibile varietà di paesaggi, di risorse, e non da ultimo, anche per gli spettacolari esempi di uso sostenibile del territorio, quelle iniziative capaci di rispettare la natura e di garantire allo stesso tempo prodotti di qualità, come è successo per esempio con un classico vitigno della nostra regione, il Nero di Troia, che è tornato ad offrire prodotti enologici di alta caratura, imprimendo comunque al modello di coltivazione e di produzione, una filiera nel segno della sostenibilità e della lungimiranza nello sfruttamento delle riorse.

Il Nero di Troia: un vino antico e prezioso

Il nome del vitigno, in effetti, tradisce senz’ombra di dubbio le sue origini – o comunque, quelle che secondo la leggenda dovrebbero essere le origini temporali e storiche: sarebbero infatti stati gli uomini di Diomede, sopravvissuti alla distruzione della città, ad esser giunti in questo territorio con il Menhir di Canne, e quindi, a dare il via alla coltivazione di questo prezioso ed antico vitigno, che ha interessato anche il Movimento del Turismo del Vino, nonché la fondazione di un Consorzio a Tutela del marchio e delle caratteristiche di questo prodotto pugliese.

Del Nero di Troia esistono essenzialmente due varietà, che sono rispettivamente la ruvese e la canosina: la prima si contraddistingue per la produzione di un’uva i cui acini sono piuttosto grossi, in grappoli ben compatti, mentre che la seconda spicca per avere acini di piccoli dimensioni ed essere di qualità molto alta, anche in considerazione della scarsità della stessa. Il tutto, all’interno di un distretto sostenibile che, in più di 1900 ettari, riesce a produrre 3 milioni di bottiglie di Castel del Monte con tanto di certificazione DOC e DOCG.

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