E’ storia nota che Puglia e Campania ogni tanto (o poco) si trovano ad aver da ridire su alcune questioni inerenti la produzione alimentare. Due regioni con una tradizione enogastronomica di tutto rispetto che hanno tutte le ragioni e tutte le carte in regola per rivendicare la paternità e l’originalità di quanto prodotto all’interno del loro territorio. Se ben ricordate, già qualche anno fa Puglia e Campania si davano battaglia a colpi di mozzarelle e fior di latte. Vi avevamo raccontato la vicenda della mozzarella DOP (pugliese e campana), proprio sulle pagine di questo magazine. Oggi una nuova puntata di questa eterna diatriba, che si sta di fatto trasformando in una storia d’amore e d’odio, si tinge di rosso. Metaforicamente, si intende. Perché i protagonisti sono i pomodori pelati. Scopriamo dunque cosa sta succedendo. 

passata pomodoro biologico

Dove e come si lavorano i famosi pelati di Puglia

Siamo dunque in Puglia, nelle immense distese del Tavoliere e in provincia di Foggia, dove da oltre 40 anni si producono i migliori ed i più abbondanti pelati. Pensate che si stima che il 90% dei pelati prodotti in Italia provenga proprio da qui. Sono pelati pugliesi, dunque? Ni. Perchè di fatto, la tipologia di lavorazione dei pelati e la tradizione che fa riferimento a questo tipo di prodotto appartiene ad una tradizione tutta campana. La Campania non ha fatto altro che trasferire la produzione in Puglia, per poi dedicarsi alla trasformazione presso gli stabilimenti presenti nella propria regione. Non a caso, se vi trovate a transitare in terra di Puglia in piena estate, noterete innumerevoli camion carichi di pomodori maturi, diretti proprio verso la Campania.

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Pomodori Pelati

Una realtà che potrebbe sembrare piuttosto semplice, in fondo: produrre in Puglia, trasformare in Campania. E allora, da dove nasce l’incomprensione tra le due regioni? Nasce, di fatto, da una scarsa (se non nulla) volontà di dar vita ad una sinergia imprenditoriale capace di portare benefici pratici ed economici ad entrambe le regioni, da modalità gestionali poco precise, da una scarsa lungimiranza, dall’incapacità di affrontare con intelligenza il mercato e, soprattutto, da una certa rivalità mai sopita. Ma andiamo con ordine.

Le “tappe” del dissapore tra Puglia e Campania in merito alla produzione e trasformazione dei pelati

  • 2002: i produttori pugliesi presentano richiesta per l’assegnazione del marchio IGP della Capitanata
  • 2010: i trasformatori campani impongono un prezzo minimo d’acquisto per i pomodori, dando indicazione, da quella data in avanti, di un prezzo di massima da stabilirsi sulla base della qualità e delle quantità;
  • 2014: l’ANICAV (di Napoli) fa richiesta dell’IGP Pomodoro Pelato di Napoli presso il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, con l’obiettivo di includere diverse aziende di Puglia, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise. Una scelta che fa storcere il naso alla Puglia, che invece sostiene di produrre la pressoché totalità dei pomodori pelati, mentre la Campania si occupa solamente della trasformazione, sostenendo pertanto che questo tipo di scelta andrebbe a penalizzare l’intero comparto pugliese. D’altro canto, i campani ricordano ai pugliesi che secondo la legge è responsabilità di chi trasforma dare certificazione precisa del processo produttivo.
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Non si dimentichi che se per il DOP è necessario che l’intero processo abbia luogo nella zona stabilita, per quanto riguarda invece l’IGP è sufficiente che la sola trasformazione avvenga nella zona indicata. E pur tuttavia, i pugliesi insistono sull’illeggittimità di questo tipo di richiesta, dal momento che il massimo sforzo produttivo avviene proprio in Puglia. Insomma, secondo i pugliesi, se si tratta di pelati pugliesi, perchè chiamarli poi pelati di Napoli? Il tutto mentre, di fatto, il pelato è un prodotto che sta soffrendo una certa crisi, a scapito di altri prodotti più richiesti e venduti, come le passate, per esempio. L’ideale sarebbe che si venisse a creare una sinergia di forze e di volontà per affrontare il mercato con la giusta dose di vitalità e lungimiranza.

Non ci resta che aspettare di vedere come andrà a finire questa diatriba tra le due regioni, nell’augurio che si trovi presto un accordo capace di dare il giusto risalto all’impegno non indifferente tanto dell’una quanto dell’altra nella buona riuscita di un business capace di portare lavoro e produttività da ambe le parti.


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Ilaria Scremin